LA STORIA

 

CARNEVALI IRPINI

 

 

I carnevali che si svolgono nei comuni della provincia di Avellino sono numerosi e diversi tra loro. Ogni comune ha il suo carnevale. Le roccaforti sono: l’area dell’Alta Irpinia con Montemarano, Paternopoli, Gesualdo, Castelvetere, Castelfranci e Volturara Irpina; l’area dell’hinterland di Avellino con la Zeza di Bellizzi Irpino, di Mercogliano, di Monteforte IrpinoCesinali e Forino; l’area del Montorese con Montoro Inferiore e Superiore; l’area del Vallo di Lauro e del Baianese con TauranoBaiano; l’area della Valle Caudina con Cervinara.

 

Essi conservano spontaneità, usi e originalità tramandati nei secoli e sono molto sentiti dalle popolazioni. Resistono con facilità alle contaminazioni commerciali. Pertanto i carnevali irpini si caratterizzano per la tipicità in quanto espressione genuina del territorio e si basano su una ricca varietà e cioè sulla tarantella di Montemarano, sulle Zeze, sul ballo n’treccio, sul palo d’amore e sui carri allegorici.

 

E’ tutto il popolo che partecipa ed è proprio il coinvolgimento e la spontaneità della gente comune che fa sentire viva questa tradizione.

 

E’ una festa che unisce giovani e anziani, famiglie povere con quelle benestanti.

 

 

 

BAIANO

 

Il carnevale inteso come una forma di spettacolo folkloristico, nasce nel XVI secolo e trova come area di influenza l’Italia meridionale. Da ciò si evince come questo abbia assunto nelle varie città e paesi aspetti  a dir poco peculiari e differenti.

Infatti il carnevale baianese  non risente solo dell’ influenza dell’Irpinia, ma anche quella  appartenente all’area partenopea; basti pensare come quegli spettacoli itineranti quali ‘I Mesi, ‘la Zeza’, ‘il Laccio d’amore’ e la varie tipologie di Tarantella , rispecchiano l’intera realtà regionale. Sono forme di spettacolo in versi , recitate o cantate da persone comuni che smettono di indossare quelle  ‘maschere serie proprie della vita quotidiana e adottano  quelle del sano divertimento.

Si tratta di un aspetto molto importante e che non deve essere sottovalutato; ma  non bisogna dimenticare che esso esprime anche  una situazione di divertimento, che si concretizza attraverso il travestimento, le maschere e le sfilate dei carri allegorici. In passato le tradizioni carnevalesche fondate sugli aspetti appena citati, stavano per cadere nel dimenticatoio; ad eccezione di qualche tangibile e sporadica rappresentazione realizzata nella città di Baiano negli ultimi decenni.

Quindi si è capito che la vera identità di un popolo è fondata anche sugli aspetti folkloristici, e si è cercato di dare maggior rilevanza a questo aspetto, ed ecco che la Pro-loco cercando di dar dignità al Carnevale, ne ha ricreato le basi.

Ciò ha comportato un rifondazione della rappresentazione, che è iniziata  già dagli anni ’90 e  che oggi può vantare un carnevale tra i più significativi e spettacolari della provincia. Spettacolare perché si è cercati di unire le istanze delle passate edizioni con quelle moderne, aggiungendo non solo la rivalutazione della Zeza, dei Mesi connotandole di nuove chiavi di lettura, ma anche quello dell’aspetto più moderno e di nuova concezione per il nostro carnevale determinato dalla presenza dei carri allegorici.

Ricreare il patrimonio del passato non è stato un percorso lineare, ma irto d’ostacoli, poiché la posta in gioco non era il semplice cambiamento d’abiti o testi, ma la rivalutazione dell’intero patrimonio culturale.

Attualmente la Pro-loco   non rappresenta solo quelle tradizioniimpermeate sulla realizzazione dei “Mesi”, "Laccio d’amore", "Zeza" e “Tarantella”, ma l’attività svolta spazia in ampio raggio  promuovendo anche i più moderni carri allegorici, che rappresentano non solo l’identità del paese, ma quella dell’intera società italiana.

 

 

 

BELLIZZI IRPINO

 

A Bellizzi sono gelosi della propria “Zeza” quasi quanto Don Zenobbio
lo è della
sua Porzia. Diventa  quindi estremamente difficile e
complicato , senza l’aiuto di donne intriganti e ruffiane ,
scandagliare il panorama, il mondo che c’è dietro questa meravigliosa
commedia del Carnevale per tentare di capire cosa la tradizione
custodisca , quale impenetrabile segreto nasconda. E  diventa
impossibile , addirittura , quando si cerca di portare alla luce i
frammenti più solidi dell’antico rito ,il testo per esempio.  Una
gelosia che cela timidezza ma soprattutto l’orgoglio di chi sa di
essere una minoranza ed il timore , fondato di vedersi poi espropriati
finanche degli ultimi possessi.
I personaggi tutti uomini ovviamente ,
e dovuto al fatto che all'epoca era impensabile che una donna potesse
pertecipare ad una manifestazione di strada , i monili a volte anche
preziosi, negli anni passati venivano presi in prestito dalle famiglie
benestanti del paese in cambio di pegni o cauzioni , il Capo Zeza poi
figura carismatica e fulcro della Zeza con la sua sciabola impartisce
ordine ai zezaiuoli in un maccheronico francese dialettizzato che solo
i zezanti intendono.

LA   ZEZA


PERSONAGGI:


PULCINELLA            PADRE
ZEZA                          MADRE
PORZIA                      FIGLIA
DON ZENOBBIO       DOTTORE
GERONIMO               PESCATORE
DON BARTOLO         GIARDINIERE
COSETTA                  FIORAIA

1° CACCIATORE
2° CACCIATORE
3° CACCIATORE
4° CACCIATORE


La scena si svolge presso la casa colonica di Pulcinella.
La commedia del carnevale finisce in danza gioiosa , dalle aristocratiche pretese ,Pulcinella ferito dalla fucilata  sparata dal pretendente Don Zenobbio in mezzo alla pancia ,ha dato finalmente il consenso alle nozze della figlia Porzia . Donna Zeza ,intrigante,e ruffiana, c’è l’ha fatta.

Ora si balla.
Esplode quindi il ballo ,La Quadriglia” impazza.

 

 

 

CARIFE

 

La romanza in oggetto ha per protagonisti sei personaggi di ruolo e un numero imprecisato di persone che dopo la recita formeranno il corpo di ballo.

I personaggi principali sono:

PULCINELLA, il padre dispotico e geloso, non gli sta bene niente e nessuno;

“ZEZA”, la madre che vorrebbe ad ogni costo sposare la figlia;

PORZIA, la figlia condizionata dalla madre e infatuata del marinaio;

IL MARINAIO, rappresentato come tale perché cerca una donna in ogni porto;

DON ZINOBIO, il guappo del paese che è in contrasto con Pulcinella;

DON NICOLA, il medico del paese che è da tempo innamorato di Porzia.

 Il fatto si svolge in un piccolo paese in provincia di Avellino all’epoca della dominazione borbonica in Campania.

La rappresentazione inizia in piazza (si potrebbe realizzare anche al coperto) ed è cantata nel dialetto avellinese dai vari personaggi che si susseguono ed è accompagnata da maestri musicali.

I personaggi oltre al canto, mimano l’azione di modo che in alcuni casi diventa anche esilarante in altri tragica in altri ancora allegra e anche sarcastica.

Termina con il matrimonio del dottore con la figlia di Zeza e l’unione con la famiglia di lei.

Dopo la conclusione della rappresentazione canora come alla fine di ogni matrimonio entrano in scena i personaggi del corpo di ballo, i quali si cimentano in una quadriglia con moltissimi intrecci e figure coreografiche di grande spettacolarità.

La durata di ogni manifestazione completa sarà di circa 90 minuti che volendo possono essere ridotti

 

 

 

 

 

CERVINARA

 

Il Carnevale Cervinarese, è divenuto un appuntamento ormai consolidato dal 1984 quando comparse la ‘Ndrezzata, una versione tipicamente Cervinarese della più famosa Ischitana. La danza consiste nell'alternato incrocio tra numerosi gruppi di coppie. Tutti impugnano bastoni corti e robusti, a modo di lancia. Il "caporale" (una specie di regista della danza che impartisce ordini e segna il ritmo) dirige le battute, suggerisce il primo verso di ogni strofa cantata (l'amore per la donzella, la paura dei saraceni, il rifugio sul Monte Epomeo, le difficoltà del lavoro, le speranze per una vita migliore), impone le cadenze in un vortice di bravura e di agilità che richiede ritmi e tempi sempre più svelti.  A questa si affianca la Quadriglia, antico ballo Partenopeo. Si passa così dalla Quadriglia Napoletana a quella Francese, dal Walzer alla Marcia. Deriva dalla contraddanza e si è sviluppata in tutta l'Europa, dal XVI secolo,  sia come danza aristocratica sia come ballo popolare.

Quindi si è capito che la vera identità di un popolo è fondata anche sugli aspetti folkloristici, e si è cercato di dare maggior rilevanza a questo aspetto, ed ecco che la Pro-loco cercando di dar dignità al Carnevale, ne ha ricreato le basi.

Ciò ha comportato un ‘rifondazione della rappresentazione, che è iniziata  già dagli anni ’90 e  che oggi può vantare un carnevale tra i più significativi e spettacolari della provincia. Spettacolare perché si è cercati di unire le istanze delle passate edizioni con quelle moderne, aggiungendo non solo la rivalutazione della Zeza, dei Mesi connotandole di nuove chiavi di lettura, ma anche quello dell’aspetto più moderno e di nuova concezione per il nostro carnevale determinato dalla presenza dei carri allegorici.

Ricreare il patrimonio del passato non è stato un percorso lineare, ma irto d’ostacoli, poiché la posta in gioco non era il semplice cambiamento d’abiti o testi, ma la rivalutazione dell’intero patrimonio culturale.

Attualmente la Pro-loco   non rappresenta solo quelle tradizioni impermeate sulla realizzazione dei “Mesi”, "Laccio d’amore", "Zeza" e “Tarantella”, ma l’attività svolta spazia in ampio raggio  promuovendo anche i più moderni carri allegorici, che rappresentano non solo l’identità del paese, ma quella dell’intera società italiana.

 

 

 

 

 

 

CESINALI

 

La romanza in oggetto ha per protagonisti sei personaggi di ruolo e un numero imprecisato di persone che dopo la recita formeranno il corpo di ballo.

I personaggi principali sono:

PULCINELLA, il padre dispotico e geloso, non gli sta bene niente e nessuno;

“ZEZA”, la madre che vorrebbe ad ogni costo sposare la figlia;

PORZIA, la figlia condizionata dalla madre e infatuata del marinaio;

IL MARINAIO, rappresentato come tale perché cerca una donna in ogni porto;

DON ZINOBIO, il guappo del paese che è in contrasto con Pulcinella;

DON NICOLA, il medico del paese che è da tempo innamorato di Porzia.

 Il fatto si svolge in un piccolo paese in provincia di Avellino all’epoca della dominazione borbonica in Campania.

La rappresentazione inizia in piazza (si potrebbe realizzare anche al coperto) ed è cantata nel dialetto avellinese dai vari personaggi che si susseguono ed è accompagnata da maestri musicali.

I personaggi oltre al canto, mimano l’azione di modo che in alcuni casi diventa anche esilarante in altri tragica in altri ancora allegra e anche sarcastica.

Termina con il matrimonio del dottore con la figlia di Zeza e l’unione con la famiglia di lei.

Dopo la conclusione della rappresentazione canora come alla fine di ogni matrimonio entrano in scena i personaggi del corpo di ballo, i quali si cimentano in una quadriglia con moltissimi intrecci e figure coreografiche di grande spettacolarità.

La durata di ogni manifestazione completa sarà di circa 90 minuti che volendo possono essere ridotti.

 

 

 

 

 

FORINO

 

Il carnevale di Forino si festeggia similmente ai paesi  confinanti.

Si distinguono nella tradizione forinese: la Zeza con i mestieri, la storia di Carnevale, la Zingaresca, il “carcere di Pulcinella”, ed il ballo ‘o intreccio.

 

La canzone di Zeza

La “Zeza”  è una rappresentazione tipica di tutti i paesi dell’Irpinia e della Campania in generale, essa  da paese a paese può cambiare il nome dei personaggi e le battute dei dialoghi,  ma ha alla base sempre lo stesso canovaccio. Come è noto  l’azione si avvale di quattro personaggi principali: Pulcinella, sua moglie Zeza, da cui deriva il nome dell’intera rappresentazione, la figlia Vicenzella e don Nicola pretendente della mano di Vicenzella. La storia narra delle vicende di Pulcinella, padre geloso e tanto innamorato della figlia che non vuole farla sposare,  contrariamente alla moglie Zeza, donna intrigante e ruffiana, che fa in modo che Vicenzella si incontri e scambi la promessa di matrimonio con don Nicola dottore (o studente) in legge.

 

La Zeza di Forino è in alcune parti cantata ed in altre recitata, è accompagnata dalla “banda piccola” dal ballo ‘o intreccio e da vari “personaggi”. Tutto insieme l’intero gruppo di commedianti e di ballerini ha costumi e cerchi coloratissimi che li rendono molto caratteristici e allegri. Accanto ai personaggi della Zeza ( Zeza, Pulcinella,Vicenzella, don Nicola e lo Scrivanotto)  ci sono a Forino anche quelli dei mestieri, un tempo numerosissimi come lo scarparo, il ramaro, ‘o pisciaiuolo, ‘o castagnaro, ‘o ricuttare, ‘o fravecatore, ‘a capere, l’avvocato, ‘a lattare ‘o dottore, ‘o primarie, ‘o cardinale, ‘o nutare, ‘o prevete  e ‘a lavannare. Insieme ad essi nel corteo carnevalesco si distinguono il cacciatore, la donna col fuso, lo scalettaro e le fioraie che regalano mimose e raccolgono le offerte che gli spettatori donano al gruppo. Caratteristica è anche  la Vecchia di Pulcinella, emblema delle negatività che hanno attraversato la vita della comunità,  la Vecchia infatti è cavalcata da Pulcinella, contrapposizione che ripropone il contrasto tre Quaresima e Carnevale.

 

La storia di Carnevale

Essa è una scenetta in cui si rappresenta il processo a Carnevale e la sua condanna a stare in casa senza mangiare e bere e consegnare le chiavi della dispensa. Carnevale rassegnato accettta la sentenza del Giudice però prima vuole dare in sposa  la sua figlia che è ancora zitelluccia. A contendersi la povera Zitelluccia sono ‘o Paglietto e ‘o Scrivanotto,  ma sarà Pulcinella ad averla in moglie perché (il testo recita)……”come sempre accade il terzo goderà”.

La Zingaresca 

E’ un canto d’amore tra Pulcinella e Zingara ( Vicenzella)

IL carcere di Pulcinella

E’una brevissima rappresentazione in cui il Giudice camminando intorno al carcere formato dai ballerini dell’intreccio, con a seguito Zeza, Vicenzella ed altri personaggi, legge degli articoli con cui libera Pulcinella dalla prigione.

 

 

 

 

MERCOGLIANO

 

 CENNI STORICI

(da “Mercogliano nei Secoli” di Stefano Della Pia, 1989)

 

La Zeza o Zeza Viola è una rappresentazione popolare antica nella tradizione del folklore del nostro comune. Già nel secolo scorso, infatti, anche se composta da pochi elementi, cioè quelli essenziali, essa allietava e divertiva, durante il carnevale, i nostri antenati. Ai primi anni del secolo gli improvvisati attori si esibivano specialmente nelle grandi masserie e dopo ogni esecuzione, veniva bandita una grossa tavola con formaggi, salami, pane, frutta secca, e numerose caraffe di vino.

E, così, fra battute e lazzi, tutti ospitanti e ospitati, onoravano quel ben di Dio. Solo dopo la seconda guerra mondiale fu introdotto l’uso della questua in denaro per sopperire alla spese di allestimento sempre più care.

La tradizione riprese mercè l’interessamento del compianto Generoso Tosone, affiancato da molti giovani, fra i quali: Giuseppe Iandoli, barista, Ninuccio Tiano, Salvatore Sapienza, Tullio De Biase, Giuseppe Dello Russo, Domenico Sensale, Vittorio Dello Russo, Domenico ed Eufemio Ruggiero, Calogero Di Gaeta, e da molti altri ai quali chiediamo venia per non averli citati. Famoso per le sue “macchiette” e la sua arguzia è restato nella memoria di tutti il compianto Ninuccio nelle vesti di Don Nicola, Tullio e il compianto Salvatore nella loro parte di marinaio e di coordinatori del ballo detto “intrezzata”, il maresciallo Giuseppe non più tra i vivi, era inimitabile nella parte di Zeza, Vittorio, assieme a suo fratello Giuseppe, nelle vesti del Gran Turco, ossia Pulcinella, Eufemio, avvenente e canora Vicenzella, ossia Porzia, e decine e decine di cacciatori e di pacchiane, nonché diavoli, morti, piccoli pulcinella e maschere varie entrate man mano a far parte della rappresentazione.

Nell’anno 1968 le Zeze furono addirittura due, quella di Capocastello e quella del Casale. Era rimasta una non mai sopita rivalità fra i “capocastellari” e i “casalicchi”. Alla premiazione di Avellino, a titolo di cronaca, vogliamo ricordare che il primo premio fu vinto dal complesso di Capocastello, organizzato e diretto da Beniamino Izzo, Domenico Sensale e dall’estensore di questa Storia di Mercogliano, con l’indispensabile supporto economico del compianto Modestino Pagano e sua consorte Colomba De Sapio.

“Mercogliano nei Secoli”, WM edizioni, 1989

 

 Nel 1971 la Zeza di Mercogliano fu conosciuta a livello internazionale grazie a Pier Paolo Pasolini (Bologna 1922 – Roma 1975) che, dopo aver assistito ad una rappresentazione della nostra Zeza, la volle inserire come colonna sonora del suo film “Decameron”.

 

 

 

 

 

MONTEFORTE IRPINO

 

La Zeza  è una rappresentazione popolare antica nella tradizione del folklore montefortese. Nel secolo scorso, infatti, allietava e divertiva, durante il carnevale, i nostri antenati. Ai primi anni del secolo gli improvvisati attori si esibivano nei quartieri e dopo ogni esecuzione, si apprestavano a consumare ciò che era stato preparato per loro: pane, “sopressate  “caso” e tanto vino.

In seguito fu introdotto l’uso della questua in denaro per sopperire alla spese di allestimento sempre più care.

Con l’avvento degli anni settanta la Zeza di Monteforte venne depositata nel cassetto ma negli anni novanta la tradizione riprese grazie all’’interessamento del geom. Gennaro Liberale, affiancato da : Vincenzo Stramaglia, Antonio Forino, Andrea Valentino, Gerardo e Vincenzo Pascale, Marco de Falco e  Generoso Pascale.

Restano nel cuore dei montefortesi due grandi della cantata di Zeza indimenticabili  nelle “macchiette” il compianto Andrea Valentino nelle vesti di Tatone e il compianto Gerado Pascale  inimitabile nella parte di Zeza Viola, e decine e decine di cacciatori  di pacchiane non più tra i vivi. Oltre alla cantata di Zeza va ricordato l’impegno di Lidia, Angelina, Antonella, Pasquale ed Andrea che oggi curano oltre la tradizione le esigenze dei giovani e quindi preparano carri allegorici arricchiti da una esilarante coreografia.

 

 

 

 

 

MONTEMARANO

 

Il Carnevale è senza dubbio la più importante manifestazione folcloristica di Montemarano.

Ha una tradizione secolare e ritorna, più spensierato che mai nei tre giorni prima delle “Ceneri” con tradizionali esplosioni di gioia e di divertimento.

Il Carnevale di Montemarano si distingue da tutte le altre manifestazioni similari che si tengono nella zona e in tante altre parti d’Italia e che pur hanno tanta rinomanza, per la spontaneità della partecipazione della popolazione.
In effetti sono tutti cittadini, dai più piccoli ai più anziani, che nei tre giorni del Carnevale si travestono e si lanciano in una irrefrenabile danza al ritmo frenetico della “Tarantella Montemaranese”, sfilando per le strade principali del Paese. Il Carnevale ha inizio già con la ricorrenza diSant Antonio Abate, 17 gennaio, ed ha termine la domenica successiva alle ceneri con “Carnevale Morto”, allorquando, dopo il commiato funebre – ironico da Carnevale, ci si lancia in una ultima danza sfrenata fino alla rottura, a notte inoltrata, della “Pignata”, dalla quale fuoriescono biscotti e dolciumi, che simbolicamente rappresentano un buon auspicio per la primavera che si approssima.

 

 

 

 

 

MONTORO INFERIORE

 

Il Carnevale ha origini molto lontane e ha i suoi “antenati” nelle feste dell’antica Grecia dedicate al dio Dionisio e quelle dell’Antica Roma celebrate in onore di Saturno.

Non si sa con certezza cosa significhi la parola “carnevale”. Comunemente viene fatta derivare dall’espressione latina “carnem levare” cioè “togliere la carne”, oppure dall’espressione “carni vale” cioè “dire addio alla carne”. Ambedue i significati si adattano bene a questa tradizionale festa popolare che precede immediatamente la Quaresima, la quale è stata sempre caratterizzata da una più o meno rigorosa astinenza dalla carne.

Il carnevale ha avuto i suoi momenti di maggiore fulgore nei secoli passati, quando il popolo doveva sottostare senza fiatare al pesante giogo dei potenti. Nei giorni di carnevale la gente poteva finalmente dare sfogo alle sue proteste e ai suoi desideri, con la tolleranza, se non con l’approvazione, delle autorità. Per un breve periodo si realizzava una specie di “mondo alla rovescia” in cui tutto era permesso: non esistevano più differenze di stato sociale, si potevano criticare i nobili e i potenti, i poveri potevano finalmente comandare e mangiare a sazietà, i servi si travestivano da padroni, brutti da belli, vecchi da giovani, e viceversa.

Oggi il carnevale ha perso il carattere di protesta sociale, trasformandosi in una festa popolare che lascia ampio spazio alle rievocazioni storiche e al folklore, ma rimane comunque improntato a una sorta di allegria collettiva .

Il Carnevale Montorese è rappresentato in modo dominante dalla famosa “Zeza” unitamente al “Ballo dell’Intreccio”.

Con l’apertura del Carnevale del 17 gennaio di ogni anno, queste figure danno inizio ai festeggiamenti per la grande festa popolare che vede riuniti grandi e piccoli in una comune allegoria d’altri tempi.

Come ogni anno il Carnevale viene preparato dalle frazioni del luogo e questa tradizionale e famosa mascherata viene organizzata per dare un ruolo più marcato di veicolo di informazione della tradizione e del folklore della nostra terra fuori dai tradizionali confini. È questo il compito da assolvere ed è anche il messaggio da portare in altre regioni, province nonché in tutte le piazze. Il carnevale resta un’espressione di cultura popolare della nostra gente e noi vogliamo, come da ormai oltre cento anni, tenere vivo quest’enorme patrimonio con la rappresentazione della “Zeza con l’Intreccio”.

La “Zeza” è una commedia brillante d’amore nella quale si rappresenta l’arte intrigante e tipicamente femminile di combinare matrimoni.

“L’Intreccio” è invece un insieme di variopinti archi di fiori e nastri portati in ballo da tantissimi giovani in costumi tradizionali dell’epoca.

Con passi di danza che si tramandano da padre in figlio, il ballo che viene rappresentato è di una bellezza unica.

Attorno alla “Zeza con l’Intreccio” ruotano tanti altri personaggi e le maschere tipiche del carnevale irpino: “il cacciatore”, “o’ scarpariell”, “a’ vecchia”, “e’ carneval”, “o’ falegnam”, “a banda musicale”, “o’ zingariell”, “o’ stuccator”, “o’ pisciauol”, “o’ castagnar”, “o’ monaco”, “l’orso”, “o’ ricuttar”, e tanti altri ancora.

Questa manifestazione non deve e non può essere intesa solo come un momento di allegria, ma deve innanzitutto essere vista in un’ottica di più ampio respiro, che ci aiuta a ricordare le cose belle ed a farci riflettere su quelle che minacciano l’esistenza civile della società in cui viviamo.

 

 

 

 

MONTORO SUPERIORE

 

Indubbia è la ricchezza del Carnevale Irpino, che oggi si impernia sulle feste di Avellino e Montemarano, l’una caratterizzata dalla recita della “Canzone di Zeza”, l’altra dal ballo sfrenato in piazza. Eppure è stato veramente poco studiato nell’ottocento, poiché l’interesse per la festa si è svegliato dopo la grande stagione degli studiosi irpini di folclore, quelli che, fra il 1870 e il 1880, si raccolsero intorno a Vittorio Imbriani e che da lui ebbero il suggerimento di raccogliere testi lirici e canti popolari. Con il nuovo secolo non si intensificò ma decrebbe l’interesse per il folclore in genere, sebbene diverse furono le iniziative quali quelle di Nicola Testa il cui intento era quello di ricordare opere degli studiosi precedenti, ad esempio: TESTAMENTO DI CARNEVALE di Luigi Cassitto, o addirittura creare un museo etnografico provinciale. Le prime avvisaglie di un interesse specifico si hanno verso il quarto decennio del 1900, quando si era alle soglie della seconda guerra mondiale. Eppure tra i testi carnevaleschi la lezione avellinese della “canzone di zeza” avrebbe potuto godere di una certa risonanza. Avrebbe potuto giovare l’attenzione che alla lezione napoletana aveva prestato Benedetto Croce. Tuttavia nell’attuale panorama nazionale, reso poco vario dalla pretesa delle organizzazioni turistico- ricreative di volere preordinare e regolamentare le fasi della festa, il carnevale irpino, pur povero rispetto al passato, risulterà interessante per la persistenza di manifestazioni riportabili direttamente, per l’ambiente montanaro naturalmente conservativo anche in campo folcloristico, non solo linguistico. È stata data nuova linfa alle molteplici varianti della già menzionata “Canzone di Zeza”; un piccolo paese come Preturo Irpino ha recuperato la sua “MASCARIATA”, uno spettacolo che si articola in canti lirici, in frase, in zingaresca, come dovette essere la ormai dimenticata rappresentazione di Montoro che portava lo stesso nome e com’è all’incirca la mascariata di Piazza di Pandola, frazione di Montoro. Con l’azione delle Pro Loco, che non assolvono solo una funzione di incentivazione ma giungono sino alla preparazione e all’organizzazione della festa, il recupero si è fatto infido. Affiora una certa volontà di riprendere la tradizione e di abbellirla. A tale proposito risulterà meritorio il recupero della “Mascariata preturese”. A Montoro, come altrove, il Carnevale è stata sempre la ricorrenza più chiassosa e bizzarra che abbia mai ideato il popolo. In questi giorni si dimenticano i guai, si cercano i divertimenti, si permettono le satire e gli scherzi. Originale era il travestimento di persone rappresentanti soggetti imitanti personaggi: alcuni di questi scherzi sono eseguiti con una certa perizia artistica e, alle volte, offrono parodie argute ed allegre, nonché macchiette della società e della vita.

 

 

 

PATERNOPOLI

 

C'è senza dubbio qualcosa di surreale nella tradizione del Carnevale. E' una forma liberatoria delle angosce, attraverso la possibile trasgressione, così dietro la maschera e nel vestito di occasione, si celano sentimenti ed istinti, desideri e sogni spesso proibiti. Tutto cambia nel mondo frenetico che porta all'avvenire, ma il carnevale no: mantiene intatte le sue maschere di ieri, ne aggiunge altre che riflettono gli spaccati di attualità da vivere burlescamente, attraverso una satira pungente e perciò spesso trasgressiva. Sì, il carnevale è davvero la festa della satira. Ma c'è anche chi ne fa una sfida e una competizione, proprio come accade a Paternopoli, che da tempo intende conquistare il primato del miglior carnevale e non solo in Irpinia, ma come tutti i carnevali irpini è originale.
Il Carnevale Paternese nasce per un gioco tra i vari artigiani del paese che con il loro sacrificio e auto tassandosi crearono la I edizione del carnevale Paternese con la realizzazione di carri allegorici che nel tempo si è consolidato e ha proiettato il carnevale  in ambito provinciale e regionale con l'interessamento dei vari mass media e della carta stampata, facendo affluire in Paternopoli in quei giorni migliaia di visitatori.
L'affermazione sopra citata deriva dalla qualità obiettivamente alta, raggiunta dai carri allegorici negli ultimi anni. Le tecniche di lavorazione della carta pesta, della creta e del ferro si sono molto raffinati, senza contare l'ingegno per realizzare i vari movimenti presenti sui carri.
I costruttori sono i giovani artigiani e appassionati che di anno in anno portano in piazza idee diverse ed in perfetta sintonia con lo spirito e l'allegoria della festa.

 

 

 

 

 

SERINO

 

Il carnevale a Serino è  ‘A MASCARATA; colori, musica, ballo si fondono nell’evento tradizionale più coinvolgente dell’anno. La valle si anima, la gente si riversa per le strade invogliata dal clima di festa e dal desiderio di far parte della lunga fila di uomini e donne, che indossano vestiti tipici dai colori sgargianti e che sulle note di una musica frenetica e trascinante ballano per il paese. Tutti partecipano alla festa: grandi e piccoli, uomini e donne, giovani e meno giovani.

Nelle piazze e nei cortili i partecipanti danno sfogo a tutta la loro energia eseguendo le figure della BOTTA1 e della ‘NDREZZATA2, accompagnati da una musica che, in quel frangente, diventa ossessionante. Al termine della faticosa esecuzione alcune famiglie offrono da bere e da mangiare per ristorare i partecipanti e dar loro modo di riposare e recuperare le forze per poi proseguire nelle danze.

‘A Mascarata viene riproposta nelle tre domeniche precedenti il carnevale e il giorno di carnevale stesso chiude il periodo di festa che precede la quaresima.

A cura dei volontari del servizio civile nazionale:

                                            Claudio Pelosi, Maria Michela Sellitto, Marianna Vistola

 

[1] La fila si avvolge a spirale in modo tale che il capofila si ritrova al centro e con questa configurazione ruota più volte in senso orario e poi antiorario.

2 Sull’ordine del capofila i ballerini, che tengono in mano dei fazzoletti o nastri colorati utilizzati per formare la fila, si intrecciano ruotando su se stessi in modo tale da trovarsi l’uno di fronte all’altro.  In passato quando al posto dei fazzoletti o dei nastri venivano usati degli archetti in legno adornati di fiori, questa figura assumeva un aspetto più coreografico in quanto si veniva a creare una cupoletta  variopinta sotto la quale poi si passava per sciogliere ’intreccio. 

 

 

 

 

 

 TORELLA DEI LOMBARDI

 

Il Carnevale, detto anche "carnovale" in alcune zone della nostra Irpinia, deriva dal Latino “carnem levare", espressione che nel medioevo indicava l’inizio del periodo d’astinenza dal mangiare carne, coincidente con la quaresima.

Come alcune delle festività del nostro calendario, le origini del carnevale derivano da antiche feste romane: i Saturnalia, riti pagani della fertilità celebrati in onore del dio Saturno. Durante tali festeggiamenti tutto era lecito, anche il travestimento e lo scambio di ruoli. Con il Cristianesimo il carnevale modificò sostanzialmente il suo carattere magico rituale, finché nel XV e XVI sec. alcune tradizioni furono recuperate e si diffuse l’uso di maschere e di costumi pubblici.

Contrapposto alle feste religiose ufficiali, il Carnevale è diventato” la festa del popolo”, luogo dell’ebbrezza e della musica, della danza, degli scherzi e del divertimento.

Figura emblematica del Carnevale è la maschera, uno dei motivi più complessi e ricchi di significato della cultura popolare: indossare la maschera è un modo di uscire dalla quotidianità e di disfarsi del proprio ruolo per confondersi nel turbine gioioso della festa….

Durante il carnevale, in tutta la Campania, e soprattutto nell’Irpinia si organizzano sfilate con carri allegorici, esibizioni di maschere e costumi tipici della zona, tutto ciò allietati da balli e canti popolari.

Il Carnevale quindi è un fenomeno culturale e folcloristico molto sentito in Irpinia e si presenta in forme diverse ed originali. Il Carnevale Irpino è sì sinonimo di allegria volta ad esorcizzare pene e angosce, ma ha anche una forte e complessa valenza culturale. Gli strumenti che vengono usati durante il Carnevale sono strumenti della cultura contadina come l'organetto, i tamburelli, il putipù, le castagnette o i triccheballacche, una sorta di martelli lignei con sonagli. E il Carnevale sinonimo di allegria in molti comuni della Provincia di Avellino non termina con il Martedì Grasso ma si protrae sino alla domenica successiva  con la rappresentazione della morte di Carnevale e lettura del "Testamento", uno spettacolo unico e suggestivo che si protrae fino a tarda notte.

E dopo aver parlato delle origini del carnevale in Irpinia …….Scoprite con noi il Carnevale Torellese…..

La festività del Carnevale, a Torella, ha inizio negli anni ’80 per rallegrare gli animi della popolazione colpita dal sisma, fino a diventare negli anni una vera e propria  tradizione.

 

Infatti soprattutto nei borghi del paese si da vita a spontanei e chiassosi cortei che celebrano la morte di Carnevale.

Su un carro si poneva un fantoccio simboleggiante il Carnevale, ormai in fin di vita. La moglie e i parenti lo piangono disperati, implorando l’intervento di un medico. Armeggiando con vistosi ed estemporanei ferri chirurgici, il sedicente luminare, tra un gesticolare animoso, non riusciva a fare di meglio che estrarre dalla pancia del malcapitato Carnevale metri e metri di salsiccia.

Il corteo, ormai in preda alla disperazione, invoca Carnevale, re della festa,chianjenno la sua immatura dipartita: criaturo mio, criaturo re tutti quandamo muori e lassi a tutti.

L'accensione del rogo, intorno alla mezzanotte del martedì Grasso, che avvolgeva tra le fiamme il compianto Carnevale, poneva fine alle ultime sfrenate ore di trasgressione prima dell'inizio della Quaresima, tempo di penitenza e di preghiera.

Il Carnevale si conclude con canti balli e la degustazione di piatti tipici.

 

 

 

 

VOLTURATA IRPINA

 

Seguiamo il cammino evolutivo del popolo volturarese attraverso il vivo della tradizione espressa in canti, così come gli anziani l’hanno narrata.

E’ grazie a loro che abbiamo la possibilità di mettere per iscritto una tradizione che si va perdendo: quella del Carnevale con la “Zeza volturarese”.

Le sue origini risalgono al 1865, questa veniva sceneggiata in occasione proprio del carnevale e ritraeva nel suo insieme il carattere “tipo” di quella che era la condizione rurale volturarese.

La “Zeza” è una sorta di commedia musicale, mediante la quale si avverte la povertà in cui viveva la gente del tempo che cercava di migliorare la propria condizione attraverso il matrimonio. Infatti è il miraggio del matrimonio che induce Zeza (la madre) a voler maritare “Vecenzella” (la figlia) con Don Nicola, benestante maestro di scuola.

Si narra che le persone mascherate amavamo fare la “rota” (la ruota), ossia ripetere vico per vico la commedia musicale.

La musica, accompagnata da organetti, era intonata su canti in rime che risuonano la tarantella. Quel suono magico che arriva da lontano nella notte dei tempi e si insedia stabilmente nell’Italia Meridionale, condizionandone la cultura e le proiezioni future.

Sempre in occasione del carnevale si potevano vedere i “Travaccatori” uomini a cavallo, avvolti nei mantelli a ruota, ornati di sciarpe di seta e maschera, percorrere al galoppo le vie del paese e gettare con impeto confetti e caramelle.

I più soddisfatti in questa occasione erano i bambini che, a schiera, correvano dietro i “travaccatori” per raccogliere quelle piccole leccornie. La gioia dei bambini diventa comprensibile se si pensa che in quel tempo la vita offriva a stento il pane quotidiano.

L’impiego di maschere, tutte quelle con carattere infero, ci ricollega alle feste dionisiache greche in cui il terzo giorno, si celebrava il ritorno simbolico dei morti sulla terra.

Era un ritorno che provocava terrore. L’idea dei morti ci fa pensare al giorno in cui, il personaggio principale del carnevale “il fantoccio-re”, principio della licenza e del disordine, nella domenica successiva il giovedì grasso, viene bruciato, come buon auspicio per l’anno nuovo.

Durante i festeggiamenti del carnevale che durano tre giorni si usa andare in giro casa per casa allo scopo di ottenere cose da mangiare e da bere.

Il carnevale offriva ai meno agiati la possibilità di imbandire le loro tavole con carne e più precisamente con polpette. Queste davano senso di sazietà e venivano tanto gradite dal popolo. Il cibo in questi giorni viene divorato con foga, tant’è che lo stesso carnevale muore per l’ennesima polpetta che gli si arresta in gola per la troppa sazietà.

Le condizioni del tempo si intuiscono in rime, anche dal “testamento” che Carnevale lascia: “quattro pecore senza coda, una padella e una pentola”.

All’inizio del 1900 il contadino e il paesano accomunati dalla stessa condizione non avevano altra scelta che emigrare nel tentativo di far fortuna, conseguenza questa che insieme alla guerra portò alla scomparsa graduale della tradizione della “Zeza”.

Altre testimonianze, solo descrittive, del Carnevale ci sono pervenute grazie all’intervista concessa dal Sig. Calabrese Ciriaco detto “Cannone”, che dall’età di undici anni, precisamente dal 1937, ha partecipato assiduamente all’organizzazione  del Carnevale, preparando carri allegorici e occupandosi lui stesso della coreografia della tarantella volturarese, negli ultimi dieci anni anche con l’appoggio della locale Pro Loco.